Kharytina Desha, 92 anni. È una delle persone più anziane ad aver fatto ritorno a Chernobyl nella “exclusion zone”. Anche se circondata dall’isolamento e dalla devastazione ha deciso che preferisce morire dove è nata piuttosto che in un anonimo sobborgo cittadino. Foto di Gerd Ludwig.
Gerd Ludwig ha 67 anni. Di questi, tutti, o quasi, li ha trascorsi fotografando il mondo e 20, in particolare, andando e tornando da Chernobyl ben 9 volte. Tant’è che il suo libro, The Long Shadow of Chernobyl, recita nel sottotitolo: a 20-year retrospective photobook. Vent’anni in foto in un posto quasi dimenticato, teatro di una delle più grandi tragedie nucleari della storia.
Era il 26 aprile del 1986 quando a 100 km a nord di Kiev, a Chernobyl appunto, a causa di un guasto tecnico la centrale nucleare della piccola cittadina esplodeva facendo alzare nel cielo una nube di scorie radioattive che per due settimane paralizzarono di paura tutta Europa. Gli abitanti della città furono evacuati ma molti di loro hanno portato, e portano tutt’ora, i segni delle radiazioni. Ad oggi, circa 700 temerari anziani hanno scelto di tornare nelle loro case, nonostante i rischi che ci siano ancora radiazioni siano altissimi e un team di volontari stia ancora lavorando alla rimozione di scorie radioattive.
L’attenzione di Ludwig è caduta proprio su queste persone, su coloro che oggi vivono nella così detta “exclusion zone”. Un fazzoletto di terra di 30 chilometri che corre intorno al luogo dove ormai trent’anni fa si ergeva la centrale nucleare. “The zone”, come la chiama il fotografo, è anche un luogo pittoresco, non solo desolato. Qui Maria e Ivan, sulla sessantina, coltivano il proprio cibo e allevano le loro galline, si fidano della terra. Vladimir, sulla cinquantina, mostra negli occhi persi verso l’orizzonte i segni di un invecchiamento precoce dovuto alle radiazioni. Una sala giochi per bambini è rimasta li, come ferma nel tempo. Sotto i calcinacci rimangono le bambole con cui giocavano le bambine appena prima dell’esplosione. Un luogo dove, alla mezzanotte di ogni 26 aprile, ci si riunisce per una silenziosa fiaccolata in ricordo di chi è stato portato via da quella terribile nube tossica.
Un progetto ambizioso quello di Ludwig, che ha un valore fondamentale perché non vuole far dimenticare un passato che fa ancora paura e che continua a esistere. Esiste negli occhi stanchi e tristi degli anziani che quel 26 aprile l’hanno vissuto e che ora sono tornati nelle loro case, incuranti del pericolo. Esiste in tutti quei bambini che oggi soffrono di leucemia perché i loro genitori sono stati esposti alle radiazioni. Esiste in tutti i malformati. Nell’esercito dei mutilati silenziosi di Ucraina e Bielorussia. Dalla prima volta in cui andò a Chernobyl, nel lontano 1993, Ludwig ha avuto questa consapevolezza ben in mente e nel 2012 è riuscito a realizzare un libro che sia racconto e memoria, fotografica.