Symmetry Breakfast: le colazioni simmetriche che incantano Instragram

Una foto dall'account instagram @symmetrybrakfast gestito da un ragazzo e dal suo compagno per suggerire ricette creative per la colazione sui social

Una foto dall’account instagram @symmetrybrakfast gestito da un ragazzo e dal suo compagno per suggerire ricette creative per la colazione

Colazioni simmetriche. Piatti uguali su un tavolo uguale per due persone -più o meno- uguali. È questa l’idea di @simmetrybreakfast, l’account Instagram gestito dai due fidanzati  Michael Zee, 30 anni e Mark van Beek, 40. I due sono andati a vivere insieme, a Londra, nel 2013 e da quel momento Michael, il più creativo dei due, ha iniziato a preparare colazioni identiche per i loro risvegli. Il “gioco” è piaciuto ai followers (oggi ben più di 550 mila) che non hanno fatto tardi a esprimere i loro apprezzamenti. Così Michael ha iniziato a fotografare anche le colazioni ordinate da lui e dal suo compagno in giro per bar e pasticcerie. Sempre simmetriche, sempre perfettamente compatibili.

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Le ricette non sono mai scontate. Certo, su @simmetrybreakfast si trovano anche bacon e pancetta, ma poi, nello scatto successivo, ecco comparire piatti sudamericani, cinesi e indiani. Pani lievitati naturalmente, muffin appena sfornati, crepes creative e biscotti fatti in casa si alternano in un miscuglio di colori vivaci dove tutto sa di casa. Michael, come racconta Huffington Post, ha rilasciato un’intervista al giornale inglese The Guardian in cui spiega come gestisce ricette e social. “Ogni mattina mi sveglio presto e cucino, so già la ricetta. Ma se la preparazione che occorre seguire è lunga, allora ci lavoro già la sera prima”, ha raccontato.

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Ogni volta che i due si trovano in un posto diverso dalla loro cucina, raccontano ai followers dove sono e perché hanno scelto di fare quella tappa.  E, ovviamente, suggeriscono cosa ordinare dal menù della colazione. Alcune volte la scelta ricade sui waffles, altre su un classico italiano: cappuccino e brioches.

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Se invece Michael è nella cucina di casa tutto cambia. A fare da sfondo ai piatti è sempre il tavolo di legno. Poi arrivano un pizzico di creatività e tanta preparazione dietro ai fornelli. Ad apparire su Instagram però è sempre un risultato impeccabile, simmetrico oltre ogni aspettativa. E tutti i giorni, alle 7.30, ecco che Michael posta la sua prima colazione, un “buongiorno” speciale che per gli instagrammers è diventato ormai un appuntamento quasi sacro.

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La rivincita dei “ginger”: i capelli rossi conquistano la fotografia

"The MC1R series", il progetto fotografico di Michelle Marshall per documentare i volti delle persone afroamericane e rosse di capelli

“The MC1R series”, il progetto fotografico di Michelle Marshall per documentare i volti delle persone afroamericane e rosse di capelli

Sono poco più dell’1% della popolazione mondiale,  tra i 70 e i 140 milioni. Le persone con i capelli rossi costituiscono un numero piccolo piccolo se si paragona a quelli ben più grandi di persone con i capelli castani, o biondi. L’unicità dei “rossi”, come li sentiamo chiamare di solito, sta in una mutazione del gene MC1R che non riesce a produrre pigmenti di colore marrone o nero e vira così sull’arancione. Questo succede raramente e si verifica soprattutto in individui che nascono da due genitori che hanno entrambi la mutazione del gene.

Non solo pelle chiara e capelli alla “Rosso Malpelo”. Ma anche macchie sul corpo, lentiggini sul viso e sulle spalle e un’ipersensibilità al sole. Sono queste le caratteristiche dei rossi, spesso visiti solo come persone dai capelli color carota. La loro, da sempre, è una presenza affascinante e controversa. Torturati e presi in giro per secoli, oggi avere i capelli rossi è una rarità, un tratto distintivo sempre più ricercato da case di moda e dai fotografi.

Lo sa bene Michelle Marshall, la fotografa londinese che ha dedicato un suo servizio fotografico ai “rossi”.  Marshall è andata oltre gli stereotipi e si è messa in caccia delle persone con le più diverse manifestazioni del gene mutato. La sua attenzione è stata catturata, in particolare, dalle persone di colore in cui la mutazione si manifesta. Perché se è vero che in Scozia e Irlanda i “ginger” sono circa il 10% della popolazione, nelle zone dove la gente è di colore, questa percentuale crolla fino a rasentare lo zero. I rossi afroamericani sono gli strani degli strani, i diversi fra i diversi.

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Tutti i soggetti fotografati sono stati contattati con il passaparola e i social, nessuno ne conosce l’identità, ma solo il volto. L’idea della fotografa era infatti quella di creare un album visivo, una sorta di schedario dove a parlare fossero lentiggini e capelli, più che i nomi. Perché l’obiettivo era solo uno: dimostrare che anche la più assurda e improbabile delle diversità è bella (come dimostra la gallery qui sotto)

 

A passo di danza per le strade di Cuba – Le foto di Omar Robles

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Uno degli scatti del progetto fotografico #OZR_Dance di Omar Robles, a Cuba

Le strade di Cuba come un palcoscenico. Le vede così il fotografo originario di Porto Rico Omar Robles, un genio che ha passato gran parte della sua formazione con l’attore e mimo Marcel Marceau. Robles ha fotografato atleti, artisti e politici in tutto il mondo, mettendoli al centro delle scene urbane più improbabili.

Nel suo ultimo reportage però, ha voluto cambiare soggetto. Non più vip, ma ballerini che si esibiscono nelle strade di tutto il mondo, comprese quelle dell’Avana.  Il nome della storia che il fotografo racconta è giovane e frizzante come i suoi protagonisti, e comincia per…hashtag: #OZR_Dance.  Tutto ruota intorno all’idea che “a Cuba si vive ballando”. Si nasce con il ritmo nel sangue e non lo si può mettere a tacere. Per questo all’Avana e dintorni c’è sempre qualcuno che balla per strada, che fa festa, che si muove al ritmo delle melodie locali.

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Dalle foto di Robles si evince proprio questo, il senso di libertà e spensieratezza che i ballerini provano nel loro habitat naturale. Fra i colori delle case cubane, decadenti ma affascinanti. Fra la gente, che assiste stupita ai passi di danza e alle mosse che sembrano impossibili da ripetere. “Il movimento e le espressioni del fisico hanno sempre fatto parte di me. Per i primi anni in cui mi ero trasferito a New York ho seguito una comunità di parkour, è li che ho imparato tutto quello che so ora”, racconta il fotografo.

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Agli inizi il suo portfolio su Instagram era al 65% composto da foto di esterni. Poi, pian piano, la percentuale è scesa, ma mai sotto alla metà. È che per Robles l’essenza stessa della fotografia sta nella vita di tutti i giorni, nelle strade e nei vicoli dove centinaia di passi e voci si incontrano di continuo.

Qui una gallery dei suoi scatti più belli da Cuba

L’appuntamento della settimana: Happy birthday your Majesty

Queen with James, Viscount Severn, Lady Louise, and her five great-grandchildren Mia Tindall (holding handbag), Savannah Philipps, (right of the Queen) Isla Phillips (right), Prince George and Princess Charlotte (on her knee) (Picture: Annie Leibovitz)

La regina Elisabetta con James, Visconte Severn, Lady Louise, e i suoi cinque “great-grandchildren”: Mia Tindall (con la borsa in mano), Savannah Philipps, (a destra di Elisabetta), Isla Phillips (destra), il principe George e la principessa Charlotte (sulle sue ginocchia). La foto è stata scattata da Annie Leibovitz per celebrare i 90 anni della sovrana d’Inghilterra

Elisabetta d’Inghilterra ha 90 anni. Era da mesi che si rincorrevano voci di festeggiamenti e iniziative per il grande giorno (il 21 aprile), ma nessuno si immaginava che il contributo più grande a Sua Maestà sarebbe arrivato da una serie di foto. Sono quelle di Annie Leibovitz, una fra le fotografe più conosciute di tutto il mondo. Negli scatti, già destinati a entrare nella Storia a braccetto della sovrana, la regina non è quasi mai sola. Una volta compaiono tutti i suoi sette nipoti intorno a lei. Un’altra i suoi amati cani, i corgie.

Elisabetta e i suoi cani

Elisabetta e i suoi cani

Gli ambienti sono quelli del castello reale di Windsor e l’idea che sta dietro alla macchina fotografica è chiara: dimostrare come con la sua quiete e la sua perseveranza, Elisabetta sia sempre riuscita a essere un collante fra vecchie e nuove generazioni. Certo, Sua Maestà è stata anche austera – in molti sostengono fosse gelida con Lady Diana – ma nell’immaginario collettivo rimane, ancora oggi, una donna sicura e leale verso la patria. Non amministra, lei dà pareri. Non prende decisioni drastiche, ma viene sempre consultata sulle questioni di massima urgenza. 

La serie di foto comprende tre scatti: quello con i nipoti, quello con gli amati cani e quello con la figlia, la principessa Anna. Sono stati tutti realizzati lo scorso mese e pubblicati il giorno del compleanno di Elisabetta. Così anche il mondo della fotografia ha potuto dedicarle un sonoro: “Happy birthday Your Majesty!”.

La regina con la figlia Anna

La regina con la figlia Anna

MARTEDÌ 19/04 – Il Pulitzer alla fotografia

 
 Il New York Times e l’agenzia Reuters si sono aggiudicati il premio più importante del giornalismo internazionale: il tanto ambito Pulitzer. Questa volta, nella categoria “breaking news”, a stregare i giurati, ci hanno pensato le immagini. Quelle di una tragedia, quelle dei migranri e della loro traversata nel Mediterraneo. Le grida di uomini, donne e bambini in acqua si possono immaginare attraverso gli scatti. Li guardi e capisci tutta la paura, tutto il dolore. Poi di nuovo terrore e voglia di scappare via, oltre le barriere che l’Europa man mano alza.  

    

Le foto e il giornalismo premiati raccontano questo, un dramma umano fatto di tinte forti, quelle del sole rosso fuoco che tramonta, quelle del blu intenso del mare che porta via troppe vite. Quelle dell’acciaio dei binari su cui si inciampa mentre si cerca di trovare la strada per un nuovo inizio.   

  

LUNEDÌ 18/04

Una sala del museo di Palmira, in Siria, distrutto dall'Isis. (Sana/Ap/Ansa)

Una sala del museo di Palmira, in Siria, distrutto dall’Isis. (Sana/Ap/Ansa)

Finalmente sono arrivate. Le immagini dall’interno del museo di Palmira, devastato e irriconoscibile, sono sotto gli occhi di tutti. A ridurre così il cuore pulsante del sito archeologico fra i più famosi al mondo è stato l’Isis. Fino al 27 marzo scorso, i fondamentalisti dello Stato Islamico avevano fatto di Palmira una roccaforte, un luogo da distruggere, massacrare. Proprio qui era stato decapitato il custode del tempio nonché massimo esperto archeologo, Khaled Asaad, 82 anni e un coraggio sconfinato che l’ha fatto restare ad aspettare il nemico, pur di difendere i reperti.

Le statue e i colonnati erano caduti impotenti sotto ai colpi degli jihadisti pronti a tutto pur di spazzar via le testimonianze di un altro tempo, quello dell’arte e della condivisione. Il museo era stato vandalizzato, distrutto al suo interno. Nessuno si poteva più avvicinare a Palmira. Troppo pericoloso, ma anche troppo doloroso.

Da quando, a fine marzo, le truppe del dittatore siriano Bashar Al Assad hanno scacciato l’Isis dalle rovine, la comunità internazionale è con il fiato sospeso. I danni, fino ad allora ritenuti inqualificabili, si sono rivelati molti e molto profondi, ma non insanabili. Le ferite lasciate dallo Stato Islamico sono evidenti, ma qualcosa si può ancora salvare. I primi sopralluoghi effettuati dai soldati russi avevano fatto emergere che ancor buona parte delle opere era recuperabile. Anche se, come hanno confermato diversi archeologi, per ricostruire tutto occorreranno almeno cinque anni.

Per ora la vecchia Palmira, quella che esisteva prima delle barbarie degli islamisti, la si può rivedere solo nelle ricostruzioni in 3d che gli esperti hanno elaborato in questi mesi, per avere una mappa virtuale di quello che è stato. Intanto, prima di procedere a inviare squadre di studiosi sul campo, i soldati delle coalizione internazionale sminano il terreno tutt’intorno. Quello che l’Isis aveva tentato di distruggere fino all’ultimo momento, anche durante la ritirata, con gli esplosivi nascosti sotto terra.

 

GIOVEDI 14/04

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Cattedrali nel deserto. Simboli di un’epoca d’oro che non c’è più. Una ricchezza immensa se ne sta li abbandonata, fra le pianure dello Shekhawati una regione dell’India un tempo residenza di molti dei più ricchi del Paese. Adesso però non ci va più nessuno, e le cupole lucide si appannano. Ovunque è silenzio, basta feste, basta via vai.

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La regione iniziò a spopolarsi sul finire degli anni ’50, quando la borghesia indiana decise di ripiegare sulle grandi città. Così Nuova Delhi e Mumbai diventarono le destinazioni preferite spesso anche per trasferirsi definitivamente. Altri ricchi indiani scelsero invece l’estero e i templi di Shekhawati rimasero così disabitati.

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Ora i palazzi sfarzosi e le meraviglie che custodiscono al loro interno. stanno venendo pian piano riscoperti da turisti e fotografi amanti del genere “abbandonato”.

MERCOLEDI 13/04

Il nuovo progetto degli artisti di Borrando la Frontera ( cancellando la frontiera) a Mexicali

Il nuovo progetto degli artisti di Borrando la Frontera ( cancellando la frontiera) a Mexicali. Vogliono colorare la barriera che divide Messico e Stati Uniti

 

Gli artisti di Borrando la Frontera hanno un unico obiettivo: abbattere le frontiere con l’arte. Guidati dall’artista internazionale Ana Teresa Fernandez, a colpi di pennello, stanno tentando di cambiare lo scenario di Mexicali. Vogliono colorare il muro rosso che divide Messico e Stati Uniti per uniformarlo al cielo, per renderlo come aria al posto che come cemento.

L'artista impegnata a pitturare la barriera di Tijuana

L’artista impegnata a pitturare la barriera di Tijuana

Le azioni degli attivisti si concentrano soprattutto lungo la frontiera di Tijuana, al confine con la California. Con i loro colori vogliono sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti umani e sulle condizioni pessime in cui si ritrovano gli immigrati latinoamericani che provano a iniziare una nuova vita negli Usa. Borrando la Frontera ha anche denunciato il fatto che ci sono 100mila latinoamericani che vogliono oltrepassare il muro ma che non riescono a trovare varchi e aspettano il momento giusto, in una sorta di limbo destinato a durare per sempre.

 

 

50mila lampadine per illuminare l’Australia

Bruce Munro, Field of Light, outback australiano

Bruce Munro, Field of Light, outback australiano

È l’uomo che ha illuminato il deserto. Impresa epica ma, dal 2016, possibile. Bruce Munro, artista britannico, ce l’ha fatta grazie all’aiuto di 50mila lampadine. Le loro luci hanno illuminato Uluru, il più importante massiccio montuoso dell’outback australiano. Le lampadine sono a forma di stelo e coprono una superficie grande come quattro campi di calcio disposti uno dopo l’altro.

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L’idea viene da lontano. Era il 1992 quando l’artista e sua moglie visitarono i territori dell’outback e ne rimasero stregati. Pensarono a come sarebbe stato vedere illuminata quella distesa infinita, di notte. Il progetto è rimasto solo un sogno, finché Munro non se ne è ricordato e ha avuto tempo a sufficienza per realizzarlo, 24 anni dopo la prima intuizione. Il risultato è spettacolare, come si può vedere in questa gallery

 

 

Le installazioni di Munro sono famose in tutto il mondo e hanno cambiato gli scenari naturali e urbani di luoghi celebri. A questo link trovate tutte quelle realizzate fino al 2016

 

Mai a più di 30 km all’ora. Viaggio nel cuore dell’Asia su un tuk tuk

Laurène, Louis, Charles e Tanguy sono quattro amici francesi che hanno viaggiato per più di un anno a bordo di un tuo tuo, il tipico taxi asiatico. Ne è nato un progetto fotografico a scopo benefico per la Ong Enfants du Mekong

Laurène, Louis, Charles e Tanguy sono quattro amici francesi che hanno viaggiato per più di un anno a bordo di un tuk tuk, il tipico taxi asiatico. Ne è nato un progetto fotografico a scopo benefico per la Ong Enfants du Mekong

Un anno e mezzo a bordo di un tuk tuk, il taxi a tre ruote dai colori sgargianti che spopola in Asia. Un viaggio scomodo ma all’avventura, come non se ne vedono più. E a scopo benefico: aiutare l’Ong Enfants du Mekong a raccogliere fondi per i bambini in difficoltà. A imbarcarsi in quest’avventura sono stati quattro ragazzi francesi dai 23 ai 27 anni con uno zaino in spalla e migliaia di chilometri da macinare.

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Tutto inizia in Thailandia, da dove i quattro compagni di viaggio hanno poi deciso di attraversare Laos, Cina, Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia, Grecia, Balcani e Italia. Poi il ritorno a Parigi, dopo più di un anno in giro per l’Asia. La scelta del tuk tu non è casuale. Questo mezzo, anni fa, veniva usato per consegnare la posta. I ragazzi hanno voluto richiamare questa idea, raccogliendo man mano le lettere dei giovani in difficoltà per poi portarle in Francia per sensibilizzare l’opinione pubblica.

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Procedere a non più di 30 chilometri orari, con temperature che variano da +30° a -20° nel giro di poche ore non è stato facile ma, come dicono i ragazzi, “ne è valsa la pena, soprattutto per tutte le persone che abbiamo incontrato e che ci hanno aiutato. Ci hanno accolto nelle loro case, ci hanno accompagnato lungo le strade ridendo”.

La prossima tappa? Ancora nulla di certo, ma per chi volesse scoprire tutto in tempo reale si possono seguire il sito dedicato alle avventure dei quattro (a questo link), la loro pagina Facebook  e il loro account Instagram.