SETTIMANA 26-31/01

Una settimana di allarmi. Il primo, di carattere metereologico, nel Nord America. New York, Boston e il Maine sono stati colpiti da una tempesta di neve, uno snowstorm, che il sindaco della Grande Mela ha definito “la più grande nevicata della storia”. In realtà i danni sono stati più contenuti del previsto, merito anche delle misure preventive adottate.  Un insieme di meravigliose foto sui media nazionali, internazionali e su Instagram ha raccontato, più delle parole, la grande tempesta di neve di inizio 2015.

Un allarme di diverso tipo quello della Nigeria. Il gruppo di fanatici islamici di Boko Haram ha attaccato altri villaggi e rapito nuovi ostaggi. Sono stati invece liberati alcuni dei bambini rapiti a inizio gennaio dall’organizzazione terroristica. Chi è riuscito a fuggire trascorre la propria vita nei campi per rifugiati, in attesa che la furia di Boko Haram si sposti altrove, se mai questo accadrà.

Un allarme politico è quello che contraddistingue, invece, l’Europa. Il movimento della sinistra radicale greca, Syriza, guidata dal giovane Alexis Tsipras ha trionfato nelle elezioni  di domenica scorsa. Una vittoria al grido di “no austerity” che fa tremare l’Europa e in particolare Angela Merkel. Tsipras, ha dichiarato guerra aperta alla Troika europea  e ha promesso una ripresa economica della Grecia in tempi brevi per dimostrare che l’austerità è tutt’altro che la soluzione giusta.

Allarmi anche in Ucraina dove il conflitto tra filorussi e l’esercito ucraino si è riaperto. Solo il 29 gennaio sono morti 5 soldati ucraini. Il Consigli Europeo si è riunito e ha deciso di agire con nuove sanzioni alla Russia estendendo la “lista nera” dei privati russi che ricoprono un ruolo fondamentale nel finanziare i militari di Mosca contro Kiev. Adottate anche misure per reagire alla propaganda e alla contro informazione russa così da fornire i mezzi necessari per un’informazione di media indipendenti e democratici nella regione del Partenariato orientale.

A Kobane l’emergenza è, questa volta, per l’Isis. Il 27 gennaio i loro avversari, i peshmerga curdi, hanno liberto la città siriana dai miliziani jihadisti dopo ben quattro mesi di combattimento e 1800 morti. Fra questi la maggior parte sarebbero combattenti dell’Isis aiutati dagli ormai noti foreign fighters. Arrivano, per sposare al causa della guerra santa, da Australia, Belgio, Francia e altre parti dell’Occidente. In Turchia migliaia di curdi sono scesi in strada per festeggiare la liberazione della città che ha rappresentato la resistenza del loro popolo. Il gesto non è stato gradito dal presidente Erdogan che ha ribadito di non volere che in Siria si proclami una regione autonoma curda come già successo in Iraq.

Infine, un’emergenza di stile. Michelle Obama, la first lady, ha commesso una gaffe a Riad, in Arabia Saudita, dove si trovava con il marito Barack Obama per omaggiare lo scomparso re Abdullah e conoscere il nuovo sovrano Salman. Pare che Michelle si sia dimenticata, o non abbia proprio voluto, coprirsi il capo come stabilito dalle leggi locali. Niente velo dunque, e per di più un bel vestito di un blu acceso. Altro errore, come sottolineano perentori i quotidiani arabi. Il paese è ancora in lutto e un abito nero e sobrio sarebbe stato decisamente meglio.

Qui la galleria della settimana

 

VENERDÌ 30/01

Un militare volontario ucraino si riposa in un parco giochi nella regione di Lugansk. Foto Afp

Un militare volontario ucraino si riposa in un parco giochi nella regione di Lugansk. Foto Afp

Nuovi scontri in Ucraina tra i separatisti filo russi e l’esercito, pagati a caro prezzo. Solo ieri, il 29 gennaio, sono morti 5 soldati ucraini. Il centro degli scontri è Mariupol, presa d’assalto dai separatisti da oltre due giorni. Immediate le reazioni di Germania e Usa. Angela Merkel ha annunciato nuovi aiuti economici a Kiev, mentre Barack Obama prepara nuove sanzioni. Una linea comune da prendere in Europa sulla questione è stata tracciata durante il Consiglio Esteri Ue del 29 gennaio, a Bruxelles. Al centro del dibattito le misure da adottare per ampliare la lista di privati russi da sanzionare.

Intanto a Lugansk gli scontri continuano e, in qualche rara occasione, i militari si concedono alcuni momenti di svago.

PHOTO AWARDS, IL VECCHIO E IL NUOVO

"Eyes of Morocco". Fotografia di Sandro, IPA photographer of the year 2014.

“Eyes of Morocco”. Fotografia di Sandro, IPA photographer of the year 2014.

Tornano i concorsi dell’International Photography Awards. Il 31 gennaio si chiudono, infatti, le iscrizioni a una delle competizioni più prestigiose organizzate dal mondo della fotografia. Stiamo parlando del  “2105 oneshot competition”, il concorso che prevede la partecipazione di fotografi professionisti che possono inviare un solo dei loro scatti alla giuria. Quest’anno il tema della sfida è “home“, casa. Ai partecipanti viene chiesto di esprimere con una sola fotografia il senso di appartenenza a un luogo, qualunque esso sia. Il concetto può essere espresso in tre differenti categorie: persone, luoghi e percezioni. Il premio, oltre che la possibilità di esibire la propria foto in una mostra appositamente dedicata, prevede un compenso di 2.250 dollari per il vincitore.

Un esempio degli incredibili scatti realizzati in occasione dei contest promossi dall’IPA è quello del fotografo statunitense Sandro che alle spalle ha trent’anni passati a fotografare persone. E, grazie alla sua creatività, una lista di clienti più che prestigiosi: Gatorade, Coca-Cola, Honda, Pepsi, Milk, Nikon, Microsoft,  Nike, Adidas e l’US Army. Queste collaborazioni gli sono valse l’entrata nella classifica dei primi 200 fotografi di pubblicità al mondo. Nella foto scelta per oggi, invece, Sandro ha immortalato un volto, di profilo. È quello di uno dei 230 nomadi commercianti marocchini incontrati, e fotografati, nel 2013. Il progetto di approfondimento delle vite degli abitanti del Marocco, gli è valso il titolo di IPA Photographer of the year nel 2014.

MERCOLEDÌ 28/01

A New York i cittadini si preparano alla tempesta di neve Juno e tirano fuori gli sci di fondo per spostarsi.

A New York i cittadini si preparano alla tempesta di neve Juno e tirano fuori gli sci di fondo per spostarsi. Foto del New York Times

Bill de Blasio, sindaco di New York, l’ha definita “la più grande tempesta di sempre” e ha invitato i newyorkesi a stare in casa e a fare provviste per i prossimi giorni. Scuole chiuse, migliaia di voli cancellati, negozi inaccessibili e black out previsti appena fuori dalla città. Sono gli effetti di Juno, una perturbazione di neve senza pari che sta coinvolgendo la Grande Mela ma anche lo stato del Maine e quello del Massachusetts. 6 milioni le persone interessate dalla nevicata e che, al risveglio, questa mattina hanno trovato le strade imbiancate da parecchi centimetri di neve. Intanto, tenuti sotto controllo i pericoli più imminenti, la città di New York ha revocato il coprifuoco.L’allerta però rimane alta.

Qui una gallery che mostra come New York, e i suoi abitanti, gestiscono la neve

 

MARTEDÌ 27/01: IN FUGA DA BOKO HARAM

Stop Boko Haram. Durante la manifestazione di Parigi un uomo sorregge un cartello per ricordare le stragi compiute dal gruppo islamico in Africa. Foto Ansa

Stop Boko Haram. Durante la manifestazione di Parigi un uomo sorregge un cartello per ricordare le stragi compiute dal gruppo islamico in Africa. Foto Ansa

Nella giornata della memoria dello sterminio nazista di 6 milioni di ebrei vale la pena di ricordare, o meglio, di provare a non far passare in secondo piano, la strage in piena regola compiuta negli ultimi mesi dal gruppo islamico di Boko Haram, in Africa.

“Chiunque non sia guidato da ciò che Allah ha rivelato è tra i trasgressori”. Questa la frase del Corano che guida i miliziani di Boko Haram secondo i quali, nel rispetto dell’islam, ogni buon fedele non può prendere parte agli aspetti della vita politica e sociale che siano in qualche modo, anche solo lontanamente, legati alla società occidentale. Ciò include anche non votare alle elezioni, non vestirsi con magliette alla moda o ricevere un’educazione secolare. Il gruppo però, negli ultimi due anni, ha preso sempre più forza in un paese, la Nigeria, che è profondamente musulmano e di cui il presidente, musulmano anche lui, ha iniziato una forte campagna di sensibilizzazione verso il credo di Maometto. A farne le spese sono tutte le minoranze, cristiane soprattutto, che popolano i territori di Nigeria, Niger e Ciad, o tutti quei giovani che, scegliendo di non unirsi ai fanatici, preferiscono andare a scuola.

Una ragazza in mezzo alla distruzione lasciata dal gruppo di Boko Haram in un villaggio del nord della Nigeria.

Una ragazza in mezzo alla distruzione lasciata dal gruppo di Boko Haram in un villaggio del nord della Nigeria.

Nel 2013 è iniziata l’emergenza umanitaria. Boko Haram, già allora, faceva strage di innocenti rapendo bambini e ragazzi dalle scuole con una predilezione per le femmine, ritenute indegne di ricevere un’educazione. La mattanza, oltre che nelle scuole dove i miliziani entrano e urlano “seguiteci o vi uccidiamo”, è continuata nei villaggi cristiani. Le stime del 2014 parlano di oltre 6mila civili uccisi dal gruppo. Per chi riesce a scappare le prospettive sono quelle dei campi di rifugio, realtà tristi dove, secondo gli ultimi dati del 2013 ci sono stati oltre 100mila arrivi nei soli primi tre mesi dall’inizio delle stragi. Un’emergenza umanitaria in piena regola unita alle vite di chi, impaurito, deve ricostruire tutto.

Alcuni rifugiati da Boko Haram ascoltano la radio nel campo di accoglienza in Nigeria.

Alcuni rifugiati da Boko Haram ascoltano la radio nel campo di accoglienza in Nigeria.

A inizio gennaio del 2015 altre notizie terrificanti. Intanto che il mondo rivolgeva tutta la sua attenzione agli attentati di Parigi, ecco che i fanatici nigeriani tornavano a colpire con un’offensiva senza pari. A Baqa, un piccolo villaggio, il primo di una lunga serie di 16 nello stato di Borno ad essere colpito, sono morte 100 persone e i corpi sono stati abbandonati per strada. La loro colpa? Opporsi a Boko Haram. Il totale delle vittime in tutti e 16 i villaggi? Almeno 2mila. Molti abitanti dei luoghi assaliti si sono diretti a nuoto verso le coste del Ciad rimanendo intrappolati per giorni nelle isole vicine. Si sono susseguiti rapimenti di studenti e studentesse, senza che fossero mai ritrovate quelle rapite nel 2014 dal gruppo (e per cui è nata una campagna di sensibilizzazione internazionale: #bringbackourgirls). Rimangono le amare testimonianze delle poche riuscite a fuggire durante gli spostamenti del gruppo. “Avremmo preferito andare a morire, poi abbiamo corso all’impazzata verso la boscaglia”.

Uno dei combattenti al fianco dell'esercito nigeriano per arginare l'espansione di Boko Haram.

Uno dei combattenti al fianco dell’esercito nigeriano per arginare l’espansione di Boko Haram.

Ma quello che più sconcerta è che gli attacchi di Boko Haram si sono intensificati nell’ultimo periodo. Il 24 gennaio un nuovo massacro ha colpito gli abitanti di una località a circa 5 chilometri da Maiduguri. Sono state uccise 15 persone durante l’ora della preghiera e l’intero villaggio è stato incendiato. E mentre il segretario di stato Usa, John Kerry, è volato in Nigeria per vedere con i suoi occhi l’emergenza ecco che il gruppo del terrore sorprende il mondo. I miliziani hanno infatti rilasciato 192 ostaggi secondo quanto riportato dal The Telegraph lo scorso 25 gennaio. Non si tratta delle liceali rapite nel 2014, come molti speravano, ma di gran parte dei 218, fra donne e bambini, rapiti lo scorso 6 gennaio a Katarko, una cittadina a circa 20 chilometri dalla capitale dello Stato di Yobe, Damaturu.

 

Miliziani di Boko Haram in viaggio e armati.

Miliziani di Boko Haram in viaggio e armati.

Dopo l’ultimo attacco, l’esercito nigeriano ha deciso di rispondere al gruppo di fanatici non solo con lo schieramento di forze via terra ma anche con l’impiego dell’areonautica. Da domenica sono in corso combattimenti nei pressi di Maiduguri per evitare un’ulteriore avanzata di Boko Haram nel nord del paese.

 

LUNEDÌ 26/01

Atene. Era il 6 aprile del 2012 quando, durante le proteste di piazza Syntagma contro l’austerity, il fotoreporter greco Marios Lolos veniva ferito dalla polizia alla testa a colpi di manganello. Si era ritrovato in mezzo ai tafferugli tra forze dell’ordine e manifestanti e ne aveva pagato le conseguenze. Le conseguenze di una Grecia in crisi, che di li a 2 mesi, il 17 giugno, avrebbe visto iniziare il governo di Antonis Samaras. Ieri, quasi tre anni dopo, il voto è stato anticipato dopo che il 29 dicembre il parlamento non era riuscito, alla terza e ultima votazione, a eleggere il nuovo presidente della repubblica. La Grecia è tornata così a votare e Lolos, curate le ferite, è stato uno dei fotografi che si è maggiormente impegnato nel documentare la battaglia elettorale dei politici scesi in campo. Fra di loro Alexis Tsipras, l’uomo che ha riunito la sinistra greca nel partito Syriza e che in queste ore diventa leader indiscusso della nuova Grecia.

Quella Grecia che, a suo dire, garantirà i depositi bancari, che sarà più solida, che tornerà a crescere al grido di “basta austerità”. Una Grecia della “nuova era”, come piace chiamarla al giovane Tsipras. Bisognerà però vedere se il nuovo leader riuscirà a governare da solo e se non dovrà invece ricorrere ad alleanze politiche con il partito Nea Demokratia necessarie per “fare la storia” come promesso agli elettori.

La coinvolgente battaglia elettorale ha portato circa 10 milioni di greci alle urne, 2 dei quali over 70, desiderosi di esprimere un voto che, in un modo o nell’altro, possa far risorgere il paese. Intanto sventolano in tutto il paese le bandiere blu e bianche e i fotografi, Lolos in primis, scattano.

Steve McCurry, l’India e una strada aperta tra montagne di bagagli

West Bengal, India, 1983. Steve McCurry, trains.

West Bengal, India, 1983.
Steve McCurry, trains.

In India viaggiare con l’aereo costa troppo e allora, fin dagli anni ’80, è nata una grandissima rete ferroviaria che trasporta, per poche rupie, da un punto all’altro dell’immenso territorio.

Di conseguenza, come dice Steve McCurry: “I treni e le stazioni sono sempre pieni di gente, sempre affollati”. Da questa considerazione ne è nato un progetto fotografico. McCurry, mentre si trovava in India nel 1983, decise di provare a catturare le infinite storie umane che passavano dai principali snodi ferroviari e, soprattutto, sulle locomotive. “Ogni volta che arrivava un treno, tentavo di catturare l’incredibile trambusto che si creava, sforzandomi di non calpestare le persone accampate sui marciapiedi e di aprirmi la strada tra montagne di bagagli”. L’aspetto che più affascinava il fotografo era quello della quotidianità che si poteva ritrovare tra gli indiani in viaggio: mangiare, dormire, accudire i bambini e concludere scambi di ogni tipo, arrivando anche a vendere mucche sulle banchine delle stazioni. Un mondo così particolare che solo le immagini sarebbero bastate a raccontarlo.

La stazione di Angra al tramonto. India 1983

La stazione di Angra al tramonto. India 1983

 

All’inizio i viaggiatori erano molto restii a farsi fotografare ma “se rimani nello scompartimento di un treno per 6 ore di seguito alla fine la gente non fa più caso alla tua presenza”, spiega McCurry. Per cogliere le storie più belle poi, il fotografo ha anche rischiato più volte la vita. Gli indiani, infatti, amano viaggiare sui tetti dei vagoni, dove fa più fresco e dove gli affari si concludono in totale libertà, come in questo caso

Contadini trasportano il fieno su un tetto di un treno che percorre la tratta Decca-Peshawar.

Contadini trasportano il fieno su un tetto di un treno che percorre la tratta Decca-Peshawar.

 

Ma la grandezza di tutto il reportage indiano sta in una foto che è unica nel suo genere ed è sinonimo di grande adattamento e conoscenza del territorio in cui si sta lavorando, sebbene sia a migliaia di chilomentri da casa e, nel caso di McCurry, da Philadelphia. Il fotografo, durante una lunga sosta ad Agra, passò cinque giorni a fotografare i treni che passavano mentre, alle loro spalle, spariva e ricompariva imponente il Taj Mahal. Dopo cinque giorni di lavoro sono arrivati dei personaggi singolari: gli addetti ai lavori dei treni. Questi, su una colossale locomotiva a vapore nera, controllano le condizioni dei binari mentre, in un gioco di contrasti cromatici magnifico, alle loro spalle, si staglia il Taj Mahal. Passato e presente, bianco e nero.

Un'operazione sui binari vicino al Taj Mahal, Angra, India 1983.

Un’operazione sui binari vicino al Taj Mahal, Angra, India 1983.

Perché, come dice McCurry:“La stazione è un teatro, sul cui palcoscenico vengono rappresentate tutte le vicende inimmaginabili. Non c’è nulla di cui i treni non siano stati testimoni”. Esattamente come il tempo, come il passato e il presente.

Settimana 19-24/01

Sono continuate le proteste contro la campagna di solidarietà #jesuischarlie in varie parti del mondo. Bandiere francesi bruciate, frasi in difesa di Maometto, urla inneggianti alla guerra santa. E mentre Barack Obama, nel suo discorso dello scorso 20 gennaio al Congresso, annunciava nuove misure militari contro Isis, un altro gruppo di terroristi, quelli di Boko Haram, continuava a rapire centinaia di persone nei villaggi africani, soprattutto donne e bambini. L’ultima notizia in questo senso è quella di 50 bambini rapiti in un villaggio del Kamerun.

Nello Yemen, invece, i ribelli sciiti Houthi hanno dichiarato guerra al governo del presidente Abdel Hadi Mansur al quale chiedono da mesi di allargare la loro presenza in parlamento. I cecchini sciiti hanno preso posizione sui tetti nel tentativo di colpire il ministro della Difesa, mentre altri, armati di tutto punto, hanno circondato il palazzo presidenziale. Sembrerebbe ora che, secondo le informazioni fornita dai media vicini ai ribelli, si sia trovato un accordo fra le parti.

A Tel Aviv, mercoledì 21 gennaio, è tornata la paura degli attacchi solitari palestinesi. Un giovane di 22 anni ha accoltellato 12 persone su un autobus affollato alle 7.30 del mattino, ora di punta in cui la maggior parte delle persone si muovono per andare al lavoro. Il gesto è stato elogiato da Hamas.

Il Giappone intanto è sotto scacco dell’Isis che tiene in ostaggio due cittadini giapponesi e che ha chiesto un retrofront del premier Shinzo Abe nel dare appoggio militare agli Usa. Il conto alla rovescia di 72 ore annunciato dal boia nero protagonista dei video Isis è iniziato venerdì 23 gennaio e si attende ora di vedere quali saranno le mosse successive. Pare che il Giappone stia lavorando per la liberazione dei due uomini ma che non sia ancora riuscito a stabilire un contatto diretto con Isis.

Qui la settimana in foto

CHE FINE HA FATTO CUBA?

Due fratelli coltivatori di tabacco. Aquileia, 80 anni e Reynaldo, 70. Cuba

Due fratelli coltivatori di tabacco. Aquileia, 80 anni e Reynaldo, 70. Cuba, Magnumphotos

Il 20 gennaio Obama si è preso la sua rivincita al Congresso dopo il disastro delle elezioni di mid term che lo avevano visto davanti ad un’innegabile perdita del consenso e a una maggioranza repubblicana. In particolare il Presidente,nel suo discorso, ha parlato di economia e politica estera. In campo economico Obama ha ricordato che gli USA tornano a crescere e riconquistano il titolo di paese trainante dei mercati occidentali, e non si limiteranno solo a questo. Più tasse per i ricchi e sgravi fiscali per il ceto medio in difficoltà saranno, infatti, i prossimi provvedimenti. In politica estera, invece, oltre a un piano per affrontare la minaccia dell’Isis, Obama ha ricordato la svolta con Cuba dello scorso dicembre. Ha inoltre aggiunto che l’obiettivo principale rimane quello di smantellare l’embargo dell’Havana e di costruire relazioni diplomatice sempre più concrete, a di la delle belle facciate. Un passo importante e difficile in una realtà unica al mondo che vede vacillare sempre più il suo leader storico, Fidel Castro, dato falsamente per morto ad inizio gennaio. E dove casas particulares, piantagioni di tabacco, turismo e colorata decadenza non potranno venire meno nel giro di pochi giorni, e neanche nel giro di pochi anni probabilmente. Perchè , come ha detto Mr President:” Quando fai qualcosa per cinquant’anni e non funziona, è ora di cambiare”, ma il cambiamento non può essere, nel caso specifico, drastico e improvviso. Staremo a vedere.

GIOVEDI 22/01

Tel Aviv, primi soccorsi ai feriti pugnalati da  un giovane palestinese  su un autobus nel centro della città.

Tel Aviv, primi soccorsi ai feriti pugnalati da un giovane palestinese su un autobus nel centro della città.

“Atto eroico”, così l’ha definito il portavoce di Hamas a Gaza. Eroico, secondo il leader del movimento anti-israeliano, sarebbe stato il gesto di  un 22enne palestinese che ha assaltato un bus a Tel Aviv ieri mattina. Il giovane è salito sull’autobus brandendo un coltello e attaccando senza pensarci due volte i passeggeri. E ha scelto anche un punto strategico dove attaccare: il bus della linea 40 nei pressi dell’incrocio di Maariv, uno dei luoghi più trafficati alle 7 del mattino, orario in cui è avvenuto l’attentato.

A fermare l’aggressore, che non ha ucciso nessumo ma che ha feritio 12 persone di cui 4 gravi, è stata una fortunata coincidenza. Dietro all’autobus viaggiava una camionetta dei militari dell’unità Nachshon, addetti al trasporto di detenuti. I poliziotti hanno sparato alle gambe dell’attentatore quando l’hanno visto scendere dall’autobus nel tentativo di fuggire. Dura la prima reazione del ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman che, senza esitazioni, ha detto: “I mandanti sono i leader palestinesi ed arabo-israeliani che incitano all’odio contro gli ebrei”.